giovedì 27 dicembre 2012

Perche' Lavorare Meno


Cercare il lavoro, trovare il lavoro, perdere il lavoro.
Dal momento della nostra nascita, ci vengono trasmesse diverse certezze, che, inevitabilmente, senza essere nemmeno ragionate, iniziano a guidare i nostri primi anni di vita.
Andando indietro di qualche generazione, i nostri bisnonni, sicuramente meno organizzati dal punto di vista sociale, o meglio, organizzati in nuclei piu' piccoli caratterizzati da minor scambi, non dovendo sottostare alle regole della globalizzazione, insegnavano ai loro figli la sola certezza esistente e cioe' che se si nasce si deve senza ombra di dubbio morire.
Il lavoro diveniva cosi' una conseguenza diretta del vivere, finalizzato solo ed esclusivamente al soddisfacimento dei bisogni primari propri e del proprio nucleo familiare.
Dunque, si lavorava a a casa, si lavorava nei campi, ma il tempo dedicato al lavoro era sempre ben definito, esso era speso principalmente per provvedere all'approvigionamento annuo di legna per riscaldarsi, di grano per fare il pane, di bestiame per poter produrre burro o latte, quest'ultimo usato come merce di scambio per poter avere prodotti non cosi' facilmente accessibili come olio, caffe', a volte zucchero.
Questa misura era altresi' equa perche' maggiori erano i membri della famiglia, maggiore era il lavoro da svolgere e di conseguenza,  maggiore era anche la manodopera sulla quale si poteva contare.
Come sempre pero', quando si slegano i concetti dal loro contesto, viene a mancare la catena di razionalita' che li governa.
Inseriti  in un contesto comunitario, nazionale, mondiale, i nostri genitori, noi, i nostri figli, siamo stati educati ed abituati a vendere le nostre ore all'esterno in cambio di denaro, che a sua volta ci serve per acquistare si' cibo, ma anche tanti, tanti oggetti e servizi.
Le nostre ore sono sottoretribuite, i nostri bisogni sono sovralimentati e.... il giorno e' composto di sole 24 ore.
Per quante ore di lavoro facciamo all'esterno scaturiscono sempre nuovi bisogni, primari e non, bisogni  abilmente creati a seguito di un modello di stile imperante e confezionati da un' industria del marketing feconda ed altamente evoluta.
Lavorare meno non significa privarsi dell'essenziale, significa cernire i nostri bisogni, decurtare quelli di cui si puo' fare a meno senza che ci sia alcuna ripercussione, e mantenere quelli indispensabili, vitali.
Scopriremo di dover o meglio di poter diminuire enormemente le ore vendute al lavoro.
Semplificare la nostra vita e' un compito che compete ad ognuno di noi e che nessun altro puo' fare al posto nostro.
Solo personalmente e, in maniera cosciente, possiamo mettere le nostre necessita' una ad una sul piatto della bilancia e, scegliere a cosa e in quale misura possiamo rinunciare, in cambio ovviamente di preziose ore per noi.
Ore per curare i nostri figli, la nostra casa, il nostro orto, i nostri genitori e i nostri amici, ma soprattutto ore per prenderci cura di noi stessi, del nostro fisico, della nostra psiche, della nostra anima.
Vi prego non aspettate la pensione........

venerdì 21 dicembre 2012

La Quantita' Modifica la Qualita'


Quando e come la quantita' modifica la qualita'?
La risposta alla nostra prima domanda e', sempre.
In ogni occasione e per qualsiasi alimento, funzione, situazione, la quantita' va a modificare la qualita'.
Resta solo da determinare il come. Nel campo degli alimenti per esempio, un cibo estremamente equilibrato e saziante come il cereale integrale, se assunto in dosi eccessive appesantisce la nostra digestione, alzando l'indice glicemico e provocando difficolta' di evacuazione.
Cosi' avviene per l'acqua, dissetante e diluente nelle sue dosi ottimali, quanto gonfiante, dilavante  o affaticante se superati i quantitativi.
E che dire del sale, ottimo integratore, antibiotico naturale ed esaltatore del sapore dei cibi che lo contengono, ma, se abusato, ipertensivo, ammazza gusto e contrattivo in maniera tale da impedire il buon funzionamento di organi quali i reni e lo stomaco.
Infine prendiamo pure in esame anche la frutta, rilassante, preziosamente rinfrescante nei giorni della calura estiva, fondamentale apporto di acqua zuccherina, ricca di minerali indispensabili per il buon funzionamento del nostro corpo, ma che, a seguito di un uso improprio, puo' trasformarsi in un grande agente flemmatico, inducendoci a picchi glicemici, fino a provocare fastidiosi disturbi sia alla vescica (cistiti) che all'intestino (fermentazioni).
Questo elenco potrebbe essere lungo sette volte sette e in tal caso si prenderebbero in  esame tutti i cibi che apparecchiano le nostre tavole, siano essi vegetali, animali o chimici.
Ma essendo gia' chiaro il meccanismo, possiamo fare lo stesso ragionamento per il mondo delle relazioni o quello del vivere, capendo bene che il discorso quantitativo diviene indispensabile per ogni considerazione che coinvolga la nostra esistenza.
Cosi' anche l'attivita' sia essa retribuita o no, punto focale della nostra giornata, ottimo riscaldante se praticata d'inverno, facilitatrice nell'eliminazione delle tossine metaboliche, nonche' determinante nel conseguimento dei nostri obiettivi, si tramuta in ossessione cieca, grandissima fonte di fattori yanghizzanti, nonche' produttrice di acidi conseguenti allo sforzo eccessivo della sua pratica.
Per ultimo, l'amore. Si, proprio quella forza intensa che ci avvolge e nobilita, mettendoci al  centro del mondo, anche l'amore se abbondamente espresso,  volge in prigionia per chi lo subisce e ossessione per chi lo esercita, per contro se scarsamente manifestato diviene portatore di serilita' ed egoismo.
Una cara amica rivolgendosi alla madre eccessivamente amorevole la prego' di "amarla meno".
Questa frase rivelatami all'eta' di 18 anni mi illumino' letteralmente, dandomi un primo assaggio del come il troppo "stroppia".
Qual'e' la giusta quantita'?
Credo di poter affermare con assoluta certezza che non si possa quantificare la quantita' ottimale a prescindere, o meglio per ognuno di noi esiste una quantita' precisa in relazione al nostro essere, al nostro ambiente, al nostro trascorso, alle nostre prospettive. Insomma, in questo caso, come in molti altri casi, la soggettivita' la fa da padrona.

martedì 18 dicembre 2012

Adam Lanza Perche' Essere Vegetariani Non Basta


Adam Lanza il ragazzo poco piu' che adoloscente responsabile della recente strage di Newtown ebbene si' e' vegetariano, anzi vegano e sceglie solo ed esclusivamente cibi biologici. Come spiegare allora il suo comportamento?
Come tenere alta la bandiera delle proprie scelte quando personaggi come Adolf Hittler o questo timido ragazzo americano ci portano a riflettere su come, a volte, essere vegetariani non basti.
La scelta vegetariana o vegana quasi sempre e' espressione di un giudizio sentimentale, secondo il quale a nostro parere sembra corretto non mangiare animali o prodotti da loro derivati per evitare che altri esseri viventi soffrano.
La sofferenza provocata dalla loro morte o dalla costrizione da noi esercitata per poter usufruire del latte e delle uova, pare essere l'unica se non la principale spinta a salvaguardarci dal consumo di cibo carneo; ogni altra considerazione passa in secondo piano o non viene per nulla presa in esame.
La filosofia Macrobiotica,  espressione del giudizio intellettuale, cioe' un gradino piu' in su rispetto al giudizio sentimentale, pur apparentemente  arrivando alla "stessa" impostazione alimentare, ci costringe a tenere in considerazione aspetti molteplici quali si' la compassione verso i nostri piccoli amici, ma anche e soprattutto la nostra salute, il nostro equilibrio.
Molte volte chi sceglie di non mangiare carne lo fa assecondando una grande pigrizia che lo spinge a semplificare la propria dieta evitando cosi' di cucinare.
Escludendo il mondo animale, chi sceglie non valutando attentamente cio' che sta facendo e omettendo di mettere al centro di ogni ragionamento prima di tutto la propria salute vista a tutto campo, finisce per pranzare con insalate, pane bianco, pasta bianca, tanta frutta e generose porzioni di dolci.
Questa alimentazione tipica di tanti ragazzi che sono poi approdati alla Macrobiotica per provare a risolvere i propri disequilibri, porta ad un eccesso di fattori espansivi o meglio ad un' assenza di fattori contrattivi. Le persone sofferenti di questo squilibrio divengono fredde, passive, i loro pensieri sono sempre e costantemente proiettati verso il futuro, non vivono il presente, divengono crudeli, vendicative ed esclusiviste ed estremamente paurose.
La mancanza di energia contraente impedisce all'individuo di rinforzare il proprio nucleo yang, indebolendolo costantemente e rendendo il confronto con l'esterno sempre piu' problematico.
Questo risulta essere anche il ritratto ufficiale di Adam Lanza. 
Questo risulta essere un reale pericolo per ognuno di noi.
Sposiamo pure l'auspicabile scelta vegetariana, ma non dimentichiamo di capire esattamente cosa, l'esclusione di una fetta cosi' importante di alimenti come quelli carnei, comporti.
La scelta Macrobiotica, a mio parere, risulta essere un migliorativo, un'ampliamento dell'importantissima scelta di non mangiare carne. Facciamo in modo di arrivare ad una simile conclusione dopo aver capito cosa ci serve per rimanere in salute e quale energia muova un alimento rispetto ad un altro, insomma dopo aver capito il reale valore yin yang di ogni singolo prodotto.
Scegliere di non mangiare carne costa enorme fatica, grandissimo impegno, e soprattutto approfondite riflessioni.
Essere vegetariani diverra' cosi' una conseguenza di un modello di pensiero evoluto e non il capriccio di chi non riesce a vedere che anche gli  esseri assolutamente viventi del mondo vegetale non hanno occhi ma ci guardano, non hanno bocca ma ci parlano, non hanno anima ma con la loro grazia ci illuminano.

giovedì 13 dicembre 2012

Largo ai Giovani


Dato di fatto: la maggioranza della classe dirigenziale e non solo, a livello mondiale, e' occupata da vecchi, di conseguenza interdetta ai giovani.
Ci siamo mai presi la briga di ascoltare con attenzione e senza alcun pregiudizio un giovane?
Credo proprio di no, perche' se solo lo avessimo fatto almeno una volta , avremmo capito che i ragazzi meritano tutta, ma proprio tutta, la nostra fiducia.
Ricordo con piacere una frase che mi e' capitato spesso di sentire da bambina, per bocca di qualche anziano, il cui pensiero saggio fosse in grado di rappresentare degnamente il secolo che esso portava sulla spalle, e questa frase suonava proprio in questi termini: la vita e' una ruota che gira.
Allora l'oriente non e' poi cosi' lontano!! Allora la consapevolezza umana scavalca quelle barriere illusorie e frammentarie che sono le provincie, le regioni, gli stati, le nazioni.
Allora, quando l'uomo osserva e comprende, sia che lo faccia da sotto il Colosseo, o ai piedi del Tibet, arriva alle stesse semplici conclusioni.
Capisce che le diverse fasi della vita richiedono compiti, aspettative e missioni diverse.
Capisce che, quando si e' giovani si e' dominati dall'impulsivita', ma anche dalla purezza e dalla speranza e che, man mano crescendo lasceranno spazio ad una maggior tendenza alla riflessione ma, anche, ad un'animo sempre meno "pulito".
I giovani divorano la vita,  ci si approcciano con la voracita' tipica di chi sia a digiuno da lungo tempo e la curiosita' di chi non sa nulla ma vorrebbe sapere proprio tutto.
Quando l'anziano lascia, compie il piu' grande gesto di altruismo. Quando lascia coscientemente, lascia sapendo di lasciare anche il proprio egoismo, abbandonando anche la naturale tendenza del giovane a "dimostrare", assecondando la meravigliosa esigenza dell'uomo maturo di "prendersi cura di se', della propria psiche, del proprio fisico, della propria anima.
Sta all'adulto, alla sua maturita', al suo essere sempre avanti, aiutare, accompagnare, istruire ed indirizzare il giovane, e sta sempre all'adulto, arrivato il giusto tempo, seguire il giovane senza prevaricarlo, presenziare senza imporsi, per,  definitivamente abbandonare.
L'uomo del ventunesimo secolo pero', tendenzialmente avido, fatica a compiere questo passaggio, e cerca in tutti i modi di preservarsi, di regalarsi l'immortalita'.
Con l'allungamento della vita media e il prolungamento dell'attivita' lavorativa , con la diffusione e il mantenimento del benessere, viene conseguentemente incentivata la nostra umana tendenza all'autoconservazione, all'aggrapparci con tutto la nostra forza alle nostre "certezze", ai nostri attaccamenti.
Ecco che cio' che il buon senso suggerirebbe viene sopraffatto dalle nostre debolezze e dal nostro scorretto agire.
Occorre che ci si sforzi pero' costantemente, ora come sempre di fare la cosa giusta.
E  giusto e' fare spazio ai giovani, fare spazio al rinnovamento, ma soprattutto semplicemente fare spazio.

sabato 8 dicembre 2012

La Vita Si Nutre di Vita, la Vita Non Si Nutre di Morte


L'evoluzione umana, se di evoluzione si puo' parlare, ha peggiorato enormemente la qualita' del nostro cibo, costringendoci a creare una scienza della nutrizione, quando, per migliaia di anni, non ce ne fu mai stata l'esigenza.
L'uomo e' l'unico animale che necessita una rieducazione alimentare, in quanto la perdita del contatto con Madre Natura e con se stesso, lo ha disorientato a tal punto, da inibire il prezioso Istinto, di cui ogni altro animale e pianta e' provvisto.
Ogni essere, giustamente inserito nel proprio ambiente, sa abilmente trarre da esso tutti i nutrienti di cui necessita per vivere, ad esclusione dell'uomo contemporaneo.
Ad esclusione soprattutto dell'uomo che, estrapolato dal suo habitat, costretto a vivere in luoghi cementificati, privato di aria e acqua pulita,  si trova nell'impossibilita' di provvedere autonomamente a se stesso.
L'uomo contemporaneo- urbano deve necessariamente acquistare il proprio cibo.
Esso puo' scegliere solo ed esclusivamente cio' che il mercato propone al prezzo che il mercato decide.
La sua scelta diventera' cosi', limitatissima.
Chi produce seleziona a monte varieta', pezzatura, tempi di produzione, raccolta e distribuzione.
Chi produce fa scelte legate alla facilitazione del proprio lavoro e all'ottimizzazione del proprio esclusivo guadagno.
Sulle tavole dell'uomo metropolitano arriva cibo morto. Le verdure gia' dopo tre, quattro giorni dalla raccolta non emettono piu' alcuna vibrazione vitale, perdendo vigore, vitalita' e tonicita' ed evaporando tutti i loro umori.
Ve ne potrete accorgere perche' recidendo un' insalata del vostro orto o un'erba spontanea, dalla ferita da taglio uscira' un odore pungente, vivo ed un succo, una linfa che manifesteranno la freschezza di cio' che state portando in tavola.
Per contro le verdure del supermercato sono quasi completamente inodori, appassiscono ancor prima di arrivare a casa e il loro succo sara' quasi totalmente assente.
Lo stesso discorso vale per la frutta. La frutta del supermercato viene raccolta ancora acerba in modo tale da consentirne il trasporto ed eventualmente lo stoccaggio. La sua maturazione e' solo presunta, il cambio di colore e' dovuto ad un processo degenerativo, quasi fermentativo.
Quando viene colto il frutto muore, ma soprattutto mancando il continuo contatto con la pianta, interrompe il processo di maturazione.
Per non parlare di carne e pesce. In questi casi anche l'occhio meno esperto puo' capire che quando mangiamo carne e pesce ci stiamo nutrendo di cadaveri.
Il ciclo di conservazione tramite la cosiddetta catena del freddo, rallenta provvisoriamente il processo decompositivo, che pero' risulta essere inevitabile.
Giungiamo infine al cibo chimico, un'alimento non alimento, che mancando completamente di una base naturale, rivela la completa assenza di energia vitale.
La vita si nutre di vita.
Quando la vita si nutre di morte, il processo quotidiano di disintossicazione diviene sempre piu' difficoltoso, i nostri processi di invecchiamento subiscono di conseguenza brusche accellerate, le malattie avanzano.
Ecco perche' diviene importante riappropriarsi del controllo del nostro cibo, ecco perche' diviene fondamentale ritornare alla terra, all'autosostentamento.
Impegnamoci  per accorciare i tempi che passano dal momento della raccolta al momento del consumo, ne guadagneremo in colore, sapore, odore, ma soprattutto ne trarra' giovamento il nostro corpo, la nostra mente, il nostro spirito.

sabato 1 dicembre 2012

Sogno, Incubo, Premonizione


Sognare ci consente di prolungare le ore di attivita' diurne.
Se le nostre giornate sono troppo poco movimentate, se la nostra quotidianita' manca di attivita' fisica o se, le calorie assunte, soprattutto con la cena, sono eccessive rispetto a quelle che riusciamo a smaltire, allora, le nostre nottate saranno incredibilmente"cariche".
Il nostro fisico cerchera' in tutti i modi di smaltire e lo fara' attraverso movimenti incontrollati, quali contrazioni delle estremita', agitazione generale che ci portera' a girarci e rigirarci nel letto, a volte sudando, talvolta  parlando.
Dal sogno all'incubo il passo e' breve, ma non troppo.
Diciamo che l'uomo ipernutrito dal corpo sano, semplicemente sogna, mentre l'uomo i cui organi presentano affaticamento o malattie, o il cui inconscio si rivela depositario di paure, rimorsi o rancori, produce incubi.
Attraverso l'incubo, l'eccesso calorico, anziche' prolungare gli accadimenti della giornata, sviluppandoli fantasticamente, come accade invece nel sogno, da' vita alle paure e ai rancori  consci e non, portandoci ad incarnarli oppure a risolverli tragicamente.
Chi equilibra la propria alimentazione, non sovraccaricando gli organi, rispettando la regola di non arrivare mai al pieno riempimento dello stomaco, cenando almeno 3 ore prima di coricarsi, non sogna.  Le sue notti sono tranquille, si risveglia esattamente nella stessa posizione nella quale si e' addormentato, e soprattutto non fa incubi.
Chi invece si abituera' attraverso una severa autocritica a mettere mano alle proprie manchevolezze, chi si sforzera' costantemente di manifestare la giustizia nel proprio operare, chi cerchera' di tendere alla buddita' in ogni singolo istante della propria vita, sognera' o meglio acquisira' la capacita' di prevedere gli eventi, anticipandoli.
Il suo sogno corrispondera' a quello che Ohsawa definiva chiaroveggenza o sogno "lucido", "cosciente", "ad occhi aperti".
Esso scaturira' direttamente dalla sintonizzazione, per cosi' dire, con il divino, con l'Universo tutto.
Egli "peschera'" dal mare dell 'Infinito informazioni utili sui prossimi accadimenti che riguarderanno il suo mondo.
Sara' cosi' in grado di leggere sulle tracce del presente il sentiero del futuro.
Non sara' un essere speciale, non sara' un mago, ne' un astrolgo, nemmeno un guru, semplicemente sara' colui che godra' di una salute per noi quasi impossibile da immaginare: la salute perfetta.
Diverra' come un' antenna ricevente puntata verso l'Uno. Attraversera' gli oceani del tempo, perche' il tempo e' un concetto esclusivamente appartenente all'uomo.
Capira' che l'attimo presente e' il prosieguo dell'istante passato, ma anche il seme del momento futuro.
Una piccola candela, dice il saggio, sara' sufficiente per illuminare una grotta disabitata da sempre.

martedì 27 novembre 2012

Senza Giudizio


Etimologicamente parlando, la parola giudizio esprime un appunto, un parere, un punto di vista, che pero' il piu' delle volte si concretizza in una critica.
Quando decidiamo di intervenire, di dare la nostra opinione su una situazione, su un evento, alcune volte approviamo cio' che un'altra persona ha detto o fatto, ma questo accade assai di rado e soprattutto avviene quando il comportantamento sottoposto al nostro giudizio, risponde esattamente alla nostra etica, moralita' o semplice opinione.
Piu' di frequente, invece, cogliamo l'occasione per esprimere il nostro dissenso, per criticare o appunto, giudicare, chi secondo noi, ha compiuto l'errore.
Questo tipo di giudizio, pero', oltre a non essere assolutamente costruttivo, riporta costantemente la nostra attenzione al di fuori, convogliando i nostri pensieri su qualcun altro, qualcuno che non siamo noi.
Quando invece ci mettiamo nella condizione di accogliere l'altro, lo facciamo in assenza di giudizio.
Non giudicare non significa non aiutare, non significa inibire il nostro pensare, significa semplicemente  dinamizzare la conversazione e puo' voler dire qualche volta, dover mettere in discussione il nostro punto di vista, la nostra posizione, il nostro giudizio appunto.
Ohsawa classificava il giudizio dividendolo per tappe consecutive, in cui ogni tappa evolveva, migliorandolo e contemporaneamente contenendolo, il livello di giudizio precedente.
Dal giudizio meccanico, al sensoriale, al sociale, all'ideologico, il passo c'e', ma e' tutt'altro che risolutivo.
Esercitando il giudizio nelle sue prime forme, esprimiamo sempre una visione parziale, velata, cieca, dunque non manifestiamo totalita' e, di conseguenza, non possiamo assolutamente ergerci a giudici. Per essere giudici occorre possedere l'indispensabile caratteristica dell'imparzialita'.
Con il settimo livello , il Giudizio Supremo o Assoluto, superiamo la dualita' e, accogliendo il monismo, abbattiamo tutte le differenze, capendo che ogni cosa, ogni situazione, ogni persona, rivela sia un aspetto positivo che un aspetto negativo e che assieme formano un insieme unico che, come tale, diviene ingiudicabile, non criticabile, assolutamente incontestabile. Astenerci dal giudizio diventera' cosi' una naturale attitudine, derivata dall'ampliamento di visione che ci dara' il giudizio svelato.
Sforziamoci dunque costantemente, espandiamo, soddisfiamo, sperimentiamo, cerchiamo e troviamo il fondo dei nostri bassi giudizi, in modo che il nostro punto di vista sia sempre piu' ampio, le nostre osservazioni sempre piu' acute, l'aiuto che possiamo dare a noi stessi e agli altri sempre piu' prezioso.
Ecco come restituire valore ad un attitudine che l'uomo occidentale del ventunesimo secolo, ha relegato alla sua piu' bassa manifestazione.

giovedì 22 novembre 2012

Non Mentire Mai....per Proteggere Se Stessi


La menzogna fa parte dell'uomo, o meglio fa parte dell'uomo non evoluto. 
Ci accompagna per tutta la vita e ha radici cosi' profonde da spingerci alla finzione, gia' dalla prima infanzia.
Mentire e nascondere non sono proprio la stessa cosa, anche se apparentemente gli effetti appaiono i medesimi.
A volte agiamo tenendo l'altro completamente all'oscuro di quello che stiamo facendo e, anche questa puo' essere definita una forma di menzogna.
Ma e' proprio dalla menzogna quella raccontata per proteggere soprattutto, anzi solamente noi stessi,  che Ohsawa ci esorta ad astenerci e, alla cui rinuncia  nel nostro abituale comportamento concorre, assieme all'astensione da altre scorrette attitudini, l'ottenimento del  massimo punteggio nella scalata alla salute.
Ci si riferisce alla tendenza a non dire la verita', totalmente o parzialmente, con il chiaro intento di preservare noi stessi, le nostre scorrette abitudini, i nostri ripetuti errori.
La bugia, in questi casi, e' finalizzata esclusivamente a coprirci, a consentirci di non cambiare.
Quando decidiamo di raccontare a qualcun altro, o peggio ancora di raccontarcela, intendiamo non assumerci la responsabilita' di quello che abbiamo fatto o meglio di noi stessi.
Si tratta di una bugia molto pericolosa perche' ci impedisce di evolvere. Preservarci in tal senso non e' funzionale all'ottenimento della nostra salute e del nostro benessere, al contrario e' sinonimo di malattia e malumore.
Tutte le volte che mentiamo ,  sapendo di mentire, impediamo alla nostra persona di guardare in faccia la realta', privandola del diritto/dovere di affrontare le manchevolezze che ci contraddistinguono, di lavorarci sopra e, di conseguenza, di arrivare a correggerle.
Quando arriviamo a capire che, mentendo per proteggere noi stessi, danneggiamo soprattutto noi stessi,  abbiamo gia' compreso tutto quello che ci serve.
La menzogna e' come un recinto che, si' ferma l'ingresso di ospiti indesiderati, ma in primo luogo, impedisce a noi di gustarci il panorama fuori dai suoi confini.
Liberiamoci dalla paura di affrontare la verita', perche' come diceva Cristo, la verita' ci rendera' liberi.

lunedì 19 novembre 2012

Acquistare Equivale a Votare



Con il passaggio da un'economia rurale basata fondamentalmente sull'autosufficienza alimentare ed energetica e sul baratto  come forma compensatoria per cio' che non si riusciva o non si poteva produrre autonomamente, ad un economia industriale in cui la "vendita" del proprio tempo viene ricompensata con un salario che dovrebbe garantire la possibilita' di acquistare cio' che non si e' in grado di produrre causa mancanza di tempo, l'uomo ha letteralmente scambiato diamanti per sassi.

La liberta' e' una merce senza prezzo, prevedere questo sarebbe stato avere una visione lungimirante del futuro, constatarlo ora, una presa di coscienza necessari, anzi direi indispensabile.

Ci siamo "costretti" a vivere in appartamenti di citta', che non hanno nulla a che fare con i nostri antichi poderi di campagna; compriamo prodotti qualitativamente inferiori rispetto a quelli che i nostri nonni coltivavano o allevavano; acquistiamo oggetti effimeri e poco longevi, la cui necessita' e' sorta a seguito del moderno cambiamento, o meglio, peggioramento, del nostro stile di vita.

Il cammino verso l'autosufficienza si presenta lungo e impegnativo. Il ritorno alla terra diverra' per l'uomo un passo obbligatorio, ma difficile da perseguire. Il taglio con il passato, con le tradizioni, ha minato il nostro essere alla base. Le nostre radici, prima solide e profonde, ora sono deboli e superficiali.
Non impossibile, ma difficile.

Dobbiamo e possiamo, prendere concretamente in mano il timone della nostra vita, dobbiamo e possiamo sin da ora ritrattare, e soprattutto dobbiamo e possiamo rivendicare la possibilita' di cambiare idea.
Indispensabile e' capire che il voto dato nelle urne, il voto dato alla politica, e' un voto simbolico. Indispensabile e' comprendere che il vero voto lo esercitiamo direzionando i nostri consumi, solo questo ci permettera' di riappropriarci della liberta' perduta, o meglio, svenduta.

Gli imperi moderni sono imperi economici. I soldi sono nelle mani di pochi. Nessuna nobile discendenza, pochissime qualita', tantissimo marketing: ecco il ritratto dei nostri leader.
La superficialita' delle nostre scelte ha premiato, non sempre, ma spesso, chi ha saputo vendersi meglio piuttosto che chi forniva vere garanzie sui propri prodotti e possedeva doti eccezzionali per eseguire il proprio lavoro.

Impariamo dunque ad acquistare articoli il cui produttore ci mette la faccia, cerchiamo di premiare chi conosciamo personalmente e chi, il cui lavoro, puo' essere verificato da noi direttamente. 

Non alimentiamo il consumo di prodotti il cui dispendio, sia in termini economici, che in termini ambientali, sia maggiore del guadagno.

Premiamo la vicinanza e la stagionalita'.

Promuoviamo chi rispetta i dipendenti e la comunita' tutta.

Andiamo oltre l'immagine, non decidiamo in base al luccichio della pubblicita'.

In poche parole siamo vigili. Facciamoci per questa volta guidare dal nostro giudizio e non dai nostri sensi.


 

giovedì 15 novembre 2012

Continuamente alla Ricerca


Esattamente non so cosa mi abbia consentito di andare sempre avanti in questi lunghi vent'anni. Gli alti e bassi sono stati all'ordine del giorno, ma la perseveranza non mi ha mai concesso di indietreggiare. 
Semlicemente credo sia merito di quell'ostinato spirito di ricerca che, come un fuoco, alimenta la mie giornate, rendendo i miei passi meno incerti.
Ricercare per me e' talmente naturale, quasi da costringermi, per abitudine, a valutare sempre almeno una seconda possibilita'.
Alle volte mi e' capitato di essere cosi' "fortunata", da cogliere al primo colpo, cio' che sembrava fosse stato fatto a pennello, insomma un abito su misura, ma anche in quei casi, sapendo di non  esserci arrivata mediante la comprensione, bensi' tramite una sorta di casualita', nasceva in me l'esigenza di verificarne, attraverso la ricerca appunto, l'attendibilita'.
In questo modo la meta passa in secondo piano o meglio, il viaggio diviene per me la meta stessa.
Cercando capisco che non sono arrivata da nessuna parte, cercando capisco anche pero' che forse, non c'e' il ben che minimo dubbio che non si debba arrivare da nessuna parte.
Quando mi sento spaesata, confusa, spiazzata, quando per qualsiasi ragione arrivo ad un punto morto, immancabilmente fa capolino sempre lui, lo spirito di ricerca, che mi porta a rimettere in discussione tutti i fattori, o meglio la mia corretta  interpretazione dei fattori stessi.
E' come una fame costante, insaziabile, un'appettito da leoni, una viziosa golosita' nei confronti della vita stessa.
Tutto mi appare come nuovo, come possibile; e' come se ogni volta scoprissi l'acqua calda.
Lo spirito di ricerca mi pungola, mi alza presto la mattina, mi manda a letto tardi la sera.
Lo spirito di ricerca mi sprona ad andare in profondita', a sperimentare cio' che leggo, a provare sulla mia pelle perche' non siano solo parole.
La realta' mi appare in tutte le sue dimensioni. Ricercare per me significa scavare tra le macerie del passato, ma anche partecipare alla costruzione di futuristici grattacieli.
Ha sempre fatto parte di me?
No, non credo. L'apatia, la paura hanno segnato i primi venticinque anni della mia vita.
Nessuna lettura, nessuna passione, pochi sogni.
Poi, la svolta, la Macrobiotica interpretata alla lettera, esattamente come consigliava Ohsawa, cioe' usata come strumento e non come fine, sfregata abilmente come fosse la Lampada di Aladino, indossata come gli Occhiali Magici delle fiabe, interrogata come fosse una Bussola Universale.
Allora, apriti sesamo.... 
Le paure sono svanite come neve al sole. Ora e' piu' facile orientarmi, ora non temo piu' di perdermi.
Posso camminare, correre a perdifiato. Con me la certezza che in qualsiasi momento riusciro' a ritrovarmi.
Per me, niente Macrobiotica, nessun spirito di ricerca. 


venerdì 9 novembre 2012

Crisi come Opportunita'


La sostanziale differenza tra Oriente e Occidente viene evidenziata gia' da una delle prime forme di rappresentanza, cioe' dalla scrittura.

In Occidente, la parola, frutto del pensiero dualista, seziona, specializzando i termini, rendendo tutto piu' frammentario, perseguendo quella ricerca del particolare tanto cara all'uomo tecnico-scientifico del vecchio continente.

L'Oriente, dal canto suo, monista fin dalle origini, attraverso gli ideogrammi, decide di rappresentare un concetto piu' che una prazialita', inquadrando sempre le due facce della stessa medaglia ed individuando la globalita' dei diversi fenomeni che compongono la realta'. 
L'ideogramma, meglio di ogni altra cosa, evidenzia il lato non immediatamente visibile, ma sempre presente, di ogni cosa.
Nulla, come capiamo attraverso l'osservazione, e' totalmente yin o totalmente yang, nulla e' completamente negativo o completamente positivo. La differenza e' costituita dalla composizione dei diversi componenti delle parti.

La parola crisi, sulla bocca di tutti ogni giorno, piu' volte al giorno, seguendo la logica sopra descritta, in Occidente verra' dunque definita impropriamente ( evidenziandone l'accezzione negativa di rottura e  di discontinuita' rispetto al passato,  sempre sottolineandone, come se fosse l'unico, l'aspetto catastrofistico, separatorio, peggiorativo) come una disgrazia, un'incidente di percorso, un'errore frutto di errori.

In Oriente, d'altro canto, avendo ben chiaro il concetto totalitario della realta' tutta, si sa che la crisi, nella sua prima fase, incarnera' si' la terminologia rappresentativa appena descritta, ma, attraverso l'innesco di reazioni antagoniste e complementari, portera' inevitabilmente all'apertura di nuovi scenari, di grandi opportunita', andando a formare picchi piu' alti,  piu' profondi saranno i solchi di sofferenza scavati dalla crisi stessa.

L'occhio dell'Oriente e' volto al futuro, a cio' che verra', al domani, all'unita'. L'occhio dell' Occidente, per contro, guarda con rammarico al passato, constatando cio' che vede, tendendo cosi' alla parzialita', di conseguenza all'incompletezza.

E' la conoscenza di principi come quello del mutamento che rendono saggio l'uomo comune e che gia' attraverso il linguaggio, e cioe' attraverso una delle prime forme di apprendimento, capisce che nulla , ma proprio nulla, sfuggira' a questa regola.
Crisi compresa.



martedì 6 novembre 2012

Amore, Odio, Matrimonio, Divorzio



Domani, 7 novembre 2012, prima e ultima udienza di divorzio.
Nei mesi scorsi appuntamenti, telefonate, documenti, nulla di serio...

Domani 7 novembre 2012 credo condividero' in pieno una frase di Osho, che a grandi linee esorta a  mettere mille ostacoli al matrimonio, ma nessuno al divorzio.

Domani 7 novembre 2012 ammettero' che l'amore, quello che permea l'Universo, lo pulsa, lo nutre, quell'amore insomma, si sa quando inizia ma non si sa quando finisce o, come dice sempre Osho, non finisce mai.

Domani 7 novembre 2012 capiro' che le esperienze della vita non si possono chiudere a comando, ci e' consentito pero' chiuderne la parte burocratica, sancendone date, testimoni e luoghi, ma le ferite, quelle purtroppo no...

Domani 7 novembre 2012, nulla cambiera', nulla succedera', di veramente significativo!

Domani 7 novembre 2012, sapro' che come non avrei potuto e dovuto dire"per sempre" ieri, cosi' non lo potro' dire oggi.

Il tempo scorre, io cambio, il mondo cambia, intorno e dentro me tutto cambia. Per fortuna pero' qualcosa resta.
Resta amore.

Cinzia

giovedì 1 novembre 2012

La Prova del Cuoco, I Menu' di Benedetta e la Cucina del Gusto


Tante sono le trasmissioni di cucina che affollano le nostre reti, anzi tantissime.
La maggior parte dei programmi, che siano di viaggi o scientifici, di intrattenimento come di notizie, hanno imparato a ritagliare uno spazio dedicato alla cucina, fino ad arrivare a trasmissioni di successo, come quella condotta da Antonella Clerici o Benedetta Parodi, in cui le ricette la fanno da padroni.

Ultimamente, con l'avvento dei canali a pagamento, compagnie come Sky, ma non solo, hanno iniziato a mandare in onda canali di sola cucina, come i piu' conosciuti Alice e Il Gambero Rosso Channel.
Nuovi scenari aperti su di un argomento che, utlimamente, fa veramente audience e, che permette di attirare un pubblico pressoche' di qualsiasi eta' e sesso, proprio per la quotidianita' e l'indispensabilita' del tema trattato.

Due, in particolare, hanno colpito la mia attenzione, perche' accomunati dal basso giudizio al quale si ispirano per fare cassetta.
Ohsawa ci insegna che il meccanico, il sensoriale e il sentimentale sono i tre giudizi primari. Essi dominano, ci governano, in forza della loro origine ancestrale e, di conseguenza, istintuale.
L'uomo e, soprattutto l'uomo del ventunesimo secolo, e' dominato dal gusto, dai sensi. Da essi si fa tiraneggiare, trascinare, trasportare in un mondo fatto di soli piaceri temporanei, di mancanza di lungimiranza e di assenza di valutazioni globali.
Il gusto ci porta dove vuole lui, ci chiede instancabilmente il bis, il tris, l'abbondanza. Ci porta di qua e di la', senza che mai o quasi mai abbiamo coscienza di cio' che stiamo facendo.
Dal salato al dolce, dall'acido al piccante, non ci diamo il tempo per gustare, per assaporare, spinti nuovamente alla ricerca di qualcosa le cui sollecitazioni ci stuzzichino nuovamente..

Il nostro giudizio critico, appartenente ai piani piu' alti (intellettuale, sociale, ideologico) viene cosi' completamente scalzato. Dimentichi degli effetti fisici, psicologici e spirituali, concepiamo l'alimentazione semplicemente come il mero riempimento di stomaco o il soffocamento di vuoti esistenziali.

Ebbene, trasmissioni come queste, poggiano la loro fortuna e il loro ascolto, proprio su queste nostre naturali debolezze, incentivandole, sostenendole e, cosa ancor piu' preoccupante, educandoci ad esse.
Gli orari di programmazione, appositamente studiati in modo da richiamare davanti al televisore tutta la famiglia, le canzoncine animate e la puntata speciale del sabato mattina, stringono l'occhio ad un pubblico giovanissimo, ai bambini appunto, che avrebbero bisogno pero' non di essere istigati a soddisfare le proprie golosita', bensi' a risvegliare la propria coscienza critica, in modo da pensare prima di mettere mano a frigorifero e dispensa.

L'argomento dell'alimentazione dipende e fa dipendere da se' una serie cosi' vasta di concetti prioritari come quello della salute, delle politiche sociali, dell'economia famigliare, nazionale e mondiale e non per ultimo quello dell'educazione e, relegarlo ad un mero discorso di palato, significa ridurlo al piu' infimo dei termini possibili.

Personalmente credo che, data l'enorme possibilita' dell'essere visibili a quell'ora, da un numero cosi' vasto di persone, sia un grande errore non approfittarne anche per istruire, almeno un po', il pubblico televisivo, aiutandolo nella scelta di uno stile di vita maggiormente sostenibile, per se, per la comunita', per l'intero pianeta.
E chissa', che mentre cio' accade, anche la dolce Antonellina non  cresca, non migliori, non dimagrisca e, perche' no, non guarisca...
Scusa Antonella, ma a tacere non ce la potevo fare.

lunedì 29 ottobre 2012

Amicizia e Perdono



Chiudere cio' che si e' aperto
Svuotare cio' che si e' riempito
Aggiustare cio' che si e' rotto
 
 Tanti errori nella mia vita. I grandi maestri dicono che l'errore sia funzionale alla vita stessa e, che si impari soprattutto dagli errori.

Delegando la mia vita, pensando di poterne delegare anche le responsabilita' derivatene dalle scelte non fatte, mi sveglio da un brutto sogno e scopro che cosi' non e' stato.
L'inconsapevolezza nell'azione, o meglio nella decisione, non esenta, magari puo' alleggerire per la mancanza di intenzionalita', dal doverne prima o poi assumersene la responsabilita'.

Oggi concludo che, visto che per forza, saremo costretti a prenderci carico delle nostre scelte, o mancate scelte, saggio' sarebbe decidere in prima persona, in modo da pagarne, domani, piu' volentieri il conto.
Cio' che viviamo di riflesso, difficilmente saremo poi disposti a riprenderlo in mano in un secondo momento e, inevitabilmente, finira' nei "sospesi" della vita, tra quella serie di situazioni mozzate, tra quei blocchi che appesantiscono la nostra esistenza, rendendola faticosa e dolorosa.

A venticinque anni, un grande incontro: quello con la Macrobiotica, mi apre al sentiero dell'oriente, al pensiero monista, a comprendere che tutto cio' che si e' aperto andra' chiuso, tutto cio' che si e' rotto andra' aggiustato e tutto cio' che si riempie andra' svuotato.

Capisco oggi, che cancellare non significa dimenticare, capisco che non esiste un posto tanto lontano dove spedire cio' che non vorremmo fosse mai successo, capisco che, nessun forziere e' a prova di scasso, capisco che, chi perde un'amico, perde veramente un tesoro!

La vita e' generosa, perlomeno con me lo e' stata, ma e' soprattutto paziente e, come l'acqua sa attendere il momento giusto.
La vergogna e la paura che mi hanno paralizzato, erano svanite. Tutto era pronto, mancavo solo io.

Poche parole, il tempo ha lavorato con e per me. La parentesi si chiude, la frase arriva finalmente al punto. La colla delle esperienze rimette assieme i cocci dell'esistenza.

Sono cambiata, ma anche gli altri lo sono. Si puo' riniziare. Si apre un nuovo capitolo....

Grazie alla Macrobiotica, grazie ai tanti amici, grazie alla vita e al suo essere pienamente, costantemente e instancabilmente giusta.

Con tutta me stessa.

Cinzia

mercoledì 24 ottobre 2012

La Frutta fa Bene?


Il solo porre la domanda in questi termini merita un approfondimento.
Stabilire se un alimento faccia bene o male, ci mette dinnanzi al principio della relativita'.
Essendo un Universo in costante mutamento e, non esistendo in esso assolutismi, si possono fare considerazioni non sul singolo fenomeno, ma sull'interelazione esistente tra tutti i fenomeni.

Dunque, per prima cosa, potremmo chiederci se la frutta faccia bene, a chi per esempio....
Poniamo un bambino, piccolo, contratto, pieno di energia, caldo, molto ma molto piu' caldo di un adulto, ecco, a lui, sicuramente la frutta fara' meglio che ad un anziano, grande, dilatato, energeticamente spento, tendenzialmente freddo.

Possiamo altrimenti facilmente capire, che una donna per sua natura piu' yang di nascita dell'uomo, abbia piu' bisogno di frutta di suo marito, in modo che questo continuo apporto di dolcezza, le consenta di curare al massimo la sua femminilita'.

Inoltre, chi per anni si e' nutrito di cibo secco (pane e pizza), carne e formaggi stagionati, trovera' nella frutta un sollievo mai avuto prima, cosa che sicuramente non sara' per chi, invece, per esempio, vegetariano o vegano da anni, si appresti a compiere un periodo di dieta depurativa.
Come possiamo notare, queste sono solo alcune delle considerazioni che possono scaturire, quando si mettono assieme quattro semplici parole e un punto di domanda.

In ogni caso, doveroso e' porre la stessa attenzione, anche alla prima parte del nostro quesito, e, questo ci porta a parlare proprio della frutta.
Ma quale frutta? Di quale frutta stiamo parlando?
Quando si pensa alla frutta, il piu' delle volte credo voi pensiate ad una bella fragola, rossa, grossa, acquistata al supermercato piu' vicino e, magari, comprata proprio la vigilia di Natale!
Io, invece, penso a una piccolissima fragolina di bosco, raccolta da me durante la mia passeggiata giornaliera in mezzo ai boschi, il mese di giugno. Insomma, colta e mangiata!
Entrambe appartengono alla categoria della frutta, entrambe si possono classificare tendenzialmente yin, ma nel caso potessimo monitorare, dare un valore alla loro natura espansiva, beh, sicuramente ci troveremmo di fronte a due dati completamente diversi!

La fragola acquistata, coltivata fuori stagione, magari senza nemmeno aver visto la terra e la luce del sole, trattata con concimi e maturanti, raccolta quasi acerba (tanto da essere, come mi e' piu' volte capitato di vedere rossa fuori e verde dentro), trasportata e conservata in cella, per preservarla dalla prematura marcescenza, ci trasmettera' senza ombra di dubbio, una dose maggiore di freddo e di acidita', rispetto alla fragola raccolta matura, che si stacca dunque al solo tocco, senza sforzo, piccola, rossissima sia nel suo interno che all'esterno e... dolcissima.
Di conseguenza, per soddisfare il nostro palato, ce ne servira' una minor quantita' (si, perche'  quando un cibo ci si presenta insapore, senza gusto, siamo portati a mangiarne senza fine, proprio per cercare nella quantita', la soddisfazione negataci dalla bassa qualita'), inoltre la carica energetica che ci verra' trasmessa, sara' piu' moderata, piu' equilibrata e gli eventuali danni sull'organismo meno evidenti, piu' tenui insomma.

Diventa cosi' impossibile rispondere a questa e ad altre domande con una negazione o un' affermazione.
Mia intenzione non e' insegnarvi a cercare le risposte,  bensi' fornirvi gli strumenti perche' possiate procedere nel vostro cammino di liberta'.



martedì 16 ottobre 2012

Sull' Importanza del Seminare


Una societa' sulla via dell'infertilita' come la nostra, merita una seria riflessione sull'importanza del seminare.
Il seme contiene in se' l'essenza, la sintesi della sua provenienza, la memoria dell'evoluzione che ha portato la sua specie sino a li' e il progetto completo per il futuro.
Seminare significa dunque gettare le basi affinche' ci possa essere continuita', significa altresi' proseguire o quantomeno creare le condizioni perche' cio' possa avvenire.
Nel ventesimo secolo, attraverso la perdita dell'autosufficienza alimentare, siamo arrivati a perdere anche di vista il rapporto tra cio' che consumiamo e cio' che produciamo.
I nostri antenati, provvedendo personalmente al proprio sostentamento, davano al seme e al seminare un'importanza enorme, tanto da legare la maggior parte delle festivita' ad eventi come la semina o il raccolto. I semi venivano custoditi gelosamente e se ne curavano scrupolosamente la scelta e la conservazione.
Tramandare diveniva cosi' un atto dovuto, a tal punto da accompagnare con i semi la dote della sposa. Nulla a che vedere con la manipolzione avvenuta da parte delle grandi multinazionali, in primis la Monsanto, che sono arrivate a rendere sterili alcune varieta' di sementi Ogm, in modo da mantenerne il controllo, impedendone cosi' l'autoproduzione da parte dei contadini.
Il seminare diviene cosi' anche un atto di grande altruismo, consentendoci di donare noi stessi (nel caso di un genitore), le nostre conoscenze (nel caso di un insegnante o un maestro), il nostro cibo (nel caso di un contadino) a qualcun altro.
Ma non solo, e' soprattutto un atto dovuto, perche' senza semina non ci sara' raccolto.
Semina e raccolto formano una cosa sola, sono la base del ciclo della vita.
I cibi chimici al 100%, come per esempio l'aspartame, sono cosi' innaturali da essere esonerati da questo meccanismo e, le nuove generazioni, educate dallo scienziato pazzo, arriveranno, con il tempo, quasi a dimenticare di quanto la nostra esistenza dipenda dalla nostra lungimiranza a mantenere fertile il pianeta terra.
Seminare ci permette di tramandare non solo piante e frutti ma anche idee, tradizioni e insegnamenti, che senza questa pratica di trasmissione andrebbero irrimediabilmente persi.
Si', perche' finito l'ultimo seme, morto l'ultimo saggio, reso sterile l'ultimo uomo, nulla varra' piu' nel cercare di rimediare l'errore.
La terra sfruttata e ammalata produrra' sempre meno e sempre minor varieta' e, l'uomo moderno, gracile e avaro, sara' sempre meno capace e disposto a procreare. I nostri genitori e nonni, indeboliti dall'Alzheimer e dalla SLA non saranno piu' in grado di raccontare, di ricordare. Tutto andra' perso e non ci sara' piu' tempo di semina. Ecco cosi' che, dando fondo agli utlimi granai della vita, un giorno, trovandoli vuoti, copiose lacrime piangeremo.
Mese di ottobre, la terra e' pronta.... si semina il grano!

sabato 13 ottobre 2012

Saper Ascoltare


Quante volte, pur sentendo l'esigenza di parlare con qualcuno, non troviamo l'orecchio "giusto" che possa accoglierci? Vicino a noi, quante volte nostro figlio, nostro marito, nostra madre o nostro padre o semplicemente un nostro amico, cercano disperatamente la nostra attenzione, chiedendoci fondamentalmente di essere solo ricevuti?
Esternare cio' che pensiamo, cio' che proviamo, cio' che temiamo, ci aiuta a fare chiarezza, ci aiuta a leggere la nostra mente, a mettere in ordine cio' che, se restasse solo prodotto della psiche, riusciremmo difficilmente a vedere chiaramente.
A volte si tratta di vere e proprie confessioni atte a "liberarci" del peso che stiamo portando e fatte con l'intento di mettere un punto, di girare pagina.
Altre volte, coinvolgendo l'altro, lo rendiamo partecipe, cercando un ponte che sia in grado di unire due vite separate che pero' vorremmo si avvicinassero o addirittura si unissero.
E, possiamo pensare, che queste nostre esigenze, siano presenti in tutti gli esseri viventi, perche' non dimentichiamoci mai che sono maggiori i punti in comune con l'altro, piuttosto che le differenze.
Allora diviene importantissimo imparare ad ascoltare in modo da poter imparare ad accogliere e insegnare a ricevere.
Per essere in grado di ascoltare, occorre mettersi nella condizione di poterlo fare.
L'impostazione frenetica delle nostre giornate, dei nostri mesi, della nostra vita, ci porta a divorare le ore, non ad assaporarle.
Il nostro pensare galoppa oltre il momento presente e ci porta ad assentarci. Le cose che dobbiamo fare e quelle che vorremmo fare occupano totalmente il nostro tempo impedendo a noi stessi e a chi ci sta vicino di trovare un minimo spiraglio per poter fare breccia nel presente.
Mettersi nella condizione di ascoltare, potrebbe voler dire, a volte, rinviare l'ascolto a quando saremo nella condizione di poterlo fare totalmente.
Per poter ascoltare occorre inoltre "escludere se stessi", o meglio anteporre l'altro a se'.
Quando qualcuno ci chiede di essere ascoltato non ci chiede un parere, non vuole essere giudicato, non vuole sapere se anche a noi e' successa una cosa simile..
Dunque, in silenzio, con calma e tranquillita', lasciamo che le sue parole fluiscano, e con attenzione o meglio con compassione, accogliamolo.
Ecco che l'ascolto non sara' altro che un ulteriore esercizio di presenza.

mercoledì 10 ottobre 2012

Qui e Ora


Due semplici parole ricche pero' di significato e che magistralmente ci riportano a considerare come sia importante vivere il momento.
La nostra mente viaggia e come scimmie i nostri pensieri saltano qua e la' nelle due dimensioni di spazio e tempo.
Ecco che per noi diventa impossibile vivere il presente. Il momento ci sfugge e noi siamo cosi' assenti da accorgercene qualche istante dopo, qualche ora dopo, qualche anno dopo, a volte mai.
La nostra incapacita' di vivere il momento, di farci assorbire da cio' che siamo, istante per istante, e' causata principalmente dalla nostra difficolta' ad affrontare la realta' per come e'.
Ci manca il coraggio, ma anche la volonta' e soprattutto ci manca l'umilta' per lasciarci andare, per fluire con la vita stessa, per farci guidare.
Cosi' ci facciamo trasportare dai nostri desideri senza mai renderci conto che il nostro presente era cio' che volevamo ieri. Ora lo disprezziamo, ma prima, quanto lo abbiamo voluto e cosa non avremmo fatto per realizzarlo!
Quando agognamo il futuro, riflettiamoci attentamente: non e' detto che ci piacera' cosi' tanto anche allora...
Navigare nel tempo e nello spazio, senza meta, come siamo soliti fare, ci fa perdere il contatto con  noi stessi, ci porta lontano, ci fa assentare.
Mentre noi sogniamo la vita passa, scorre, soprattutto accade.
E piu' sogniamo, piu' ci perdiamo tramonti mozzafiato, emozioni strappacuore, profumi inebrianti, suoni magistrali, gusti nuovi, calde lacrime, morti improvvise, primi amori e figli mai nati. A volte gli shock, le fasi culminanti del vivere, ci richiamano alla presenza, ma durera' comunque poco; secondi, minuti, poi di fretta, a ricordarci del bello che fu o del futuro che verra'.
Se ci fermassimo dieci minuti in una stanza buia e scrivessimo tutto cio' che ci sta passando per la mente, capiremmo di quanto ciarpame, di quanta inutilita' siano i ladri del nostro quotidiano.
Ci accorgeremmo che per quanto sia triste il presente, mai potra' competere in intensita' con la falsita' del sogno ad occhi aperti.
Impariamo dunque ad essere vigili, ad assistere ai parti della mente, a non assecondarli, a non cavalcarli. Osserviamoli e lasciamoli andare, prima o poi, non considerati, da soli svaniranno.

 

venerdì 5 ottobre 2012

Elogio alla Lentezza



Capire l'importanza del rallentare i propri ritmi, significa capire che la velocita', la fretta porta con se, il piu' delle volte, anche una superficialita' di vedute.
Conoscere Antonio De Falco e partecipare ad un suo corso di Agricoltura Sinergica, per me e' stata una grande lezione di vita.
Rapita da mille impegni, oberata da innumerevoli cose da fare, negli utlimi anni ho divorato le giornate,  calcolato le settimane passate in base ai compiti svolti e, ebbene si, ho maledettamente perso di vista me stessa.
I mesi, le stagioni, gli anni dettano magistralmente i tempi a cui gli  esseri umani dovrebbero rigorosamente attenersi.
Seguendo le stagioni, le giornate soleggiate e piene dell'estate, lasciano il posto alle lunghe nottate dell'autunno e dell'inverno.
L'uomo osservatore, meditatore, essenzialmente raccoglitore, contempla la vita, la onora, la celebra, ritrovando cosi' la felicita'.
Immaginare, sognare, speculare ci porta lontano e ci spinge a fare sempre di piu' alla ricerca dell' ottenimento di cio' che desideriamo.
I sogni si susseguono, uno cancella e segue l'altro, la mente galoppa. Facciamo fatica a stare al passo e corriamo sempre piu' forte, perche' tutto non ci puo' stare in ventiquattrore.
Le emozioni dell'oggi vengono ofuscate dalle ambizioni del domani e troppo spesso dimentichiamo che cio' che stiamo vivendo rispecchia esattamente i desideri del passato.
Cosi' la vita passa, cosi' la vita diviene un sottofondo alle nostre ambizioni e alle nostre angosce.
Allora decido, rallento, cambio marcia, avanti cosi' non posso andare. Sto perdendomi la vera qualita' della vita: la sua semplicita', l'essenzialita'.
Capisco che anche nel tempo esiste una misura, capisco che la lentezza se e' dosata e' una grandissima risorsa, capisco che la velocita' mi fa perdere il panorama.
Capisco che il fine non e' la meta, ma il viaggio stesso.
Antonio De Falco, piccolo grande uomo, mi fa da specchio.
Vedo in lui la quiete e finalmente capisco. Non ho bisogno di chiedere, mi adeguo, ci provo, lascio che sia lui a segnare il passo.
Vedo con piu' nitidezza, odo  i suoni bassi, odori mai sentiti, comprendo piu' parole, la vita acquista spessore, il tempo si dilata.
Che svista, che illusione, ero io ad andare troppo in fretta non lui ad essere lento!
E... pensare, che si trattava solo di imparare a fare un orto.....

giovedì 4 ottobre 2012

Perche' Casa Ignoramus


Dopo 24 post e ad un anno dall'apertura di questo blog, zoppicante nella partenza, ma, prometto, puntuale e scoppiettante nel prosieguo, mi sembra doveroso spiegare l'origine del nome per meglio farvi capire lo scopo principe di questo spazio.
Casa Ignoramus significa letteralmente la Casa degli Ignoranti e richiama le piu' famose Maison Ignoramus francesi degli anni 60 . 
Sapere di non sapere e' l'unica cosa da sapere.
Scusatemi per il gioco di parole ma la condizione primaria al cambiamento si ha solamente quando, con il piu' profondo atto di umilta', constatiamo la nostra ignoranza e pronti a vestire i panni dello studente, o meglio del discepolo, ci apriamo al cambiamento.
La Casa degli Ignoranti e', come la volle Ohsawa, un luogo di studio, di sperimentazione e di condivisione, dove discepolo e maestro si scambiano costantemente i ruoli. Si, perche' per essere un buon insegnante occorre per prima cosa essere un allievo esemplare.
Chi apre la propria casa e' nella consapevolezza di essere in cammino, ha la certezza di non essere arrivato da nessuna parte e si rende disponibile a condividere il proprio percorso con qualcun altro.
La Casa degli Ignoranti e' il posto giusto per chi decide di lavorare su di se' e, lo vuole fare in un ambiente protetto, in un posto dove altre persone stanno cercando di fare lo stesso.
Nessun giudizio nella Casa degli Ignoranti, questo pero' non vuole dire nussuna osservazione, semplicemente vuole dire nessun giudizio.
Benvenuti allora a tutti voi nella Casa degli Ignoranti, lo spazio c'e', potete entrare.

martedì 2 ottobre 2012

Masanobu Fukuoka, Manikis Panaiotis, Emilia Hazelip, Antonio De Falco e l'Orto delle Meraviglie


Approdando alla Macrobiotica ci risultera'  facile arrivare al concetto di autosufficienza alimentare e  inevitabilmente  nomi come quello della Hazelip, di Fukuoka, di Panaiotis o di De Falco ci diverranno  famigliari. La Macrobiotica, definita da Ohsawa, la bussola universale o l'occhiale magico attraverso il quale leggere e interpretare la realta', vede la sua massima applicazione in campo agricolo con il sistema Fukuoka e con la sua successiva evoluzione applicativa: l' Agricoltura Sinergica.
Lasciar fare alla terra, ovvero ripristinare la condizione ottimale che consenta alla terra stessa di autofertilizzarsi e di autoriseminarsi ci consente di ridurre al minimo il nostro sforzo pur ottenendo il massimo del risultato, senza pero' mai perdere di vista il grande rispetto che Madre Natura merita.
L' Agricoltura Sinergica consente a chiunque, armato del giusto spirito di osservazione, di ambire ad un grado di autosufficienza alimentare indispensabile per l'ottenimento della liberta', condizione indispensabile al raggiungimento della felicita'.
Fondata su principi di una semplicita' disarmante consiglia al contadino moderno di lasciar ferma la terra ovvero di non arare o vangare, di non concimare , di non comprimerla con il calpestio e di non tenerla mai scoperta ovvero di pacciamarla.
Attraverso l'apprendimento delle tecniche rivoluzionarie dell' Agricoltura Sinergica si intrapprende un viaggio meraviglioso, si riscopre l'importanza del rispetto per tutte le forme di vita dal microrganismo passando attraverso l'uomo fino all'Universo tutto; si impara la gioia dell'attesa, capendo di conseguenza che il piacere non sta nel risultato ma nel godimento di ogni singolo istante che ci separa ad esso.
Con l'orto, attraverso l'orto nasce cresce e matura la nostra consapevolezza.
Con l'orto, attraverso l'orto reimpariamo a toccare, annusare, gustare e di conseguenza a contemplare.
Con l'orto e attraverso l'orto noi e i vegetali dei quali ci nutriamo veniamo messi sullo stesso piano.
La sinergia presente nell'orto ci coinvolge, la sua eleganza ci ispira, la sua armonia e il suo equilibrio ci vengono trasmessi.
L'orto diviene cosi' parte della nostra vita, della nostra famiglia e come tale ci assomigliera', da noi, soprattutto inizialmente dipendera', ma proprio come un figlio pian piano acquistera' la sua autonomia, acquisira' la sua personalita' e..... inevitabilmente ci insegnera'.
L'uomo del ventunesimo secolo cosi' si trasforma, passa da essere contadino ad essere contemplatore, realizza pienamente il suo scopo  e.... magicamente riconquista il suo posto, subito sotto  Dio, la Natura, L'Uno  c'e' lui, l'uomo che con  la sua quotidiana vicinanza con la terra  non perde mai il contatto.

sabato 29 settembre 2012

La Prima Tappa della Malattia: Una Vita Disordinata




Comprendere veramente da dove parta la malattia, quale sia la sua origine remota, e' fondamentale per avere un approccio corretto al processo di guarigione. 
Secondo il punto di vista occidentale moderno, la malattia diviene tale quando accusiamo un sintomo e, intuitivamente o attraverso una diagnosi, le diamo un nome.
E'allora che il piu' delle volte il nostro disturbo viene classificato come raro, genetico, con origini cosi' remote o lontane da noi quasi da sembrarci estranee.
Qui si ferma la ricerca medico-allopatica. Il proseguo tratta esclusivamente la cura, o meglio ancora, la soppressione del sintomo stesso.
La lettura ohsawiana del fenomeno della malattia apre nuovi scenari ampi e risolutivi sul problema. Sensei ci insegna ad estirpare le radici della malattia stessa e una volta capita la sua causa, addirittura a prevenirla.
Ohsawa evidenzia nel disordine nelle sue molteplici forme, la piu' profonda, nonche' la prima radice del poderoso albero delle nostre sofferenze.
Quando si parla di disordine si finisce sempre per omettere qualcosa, ma Ohsawa ci aiuta, spingendoci oltre, cosi' capiamo che possiamo vivere un disordine ancestrale nel caso avessimo i genitori o un'intera famiglia indisciplinata, vigliacca, ingrata.
Di conseguenza il semplice essere generati da questo caos potrebbe aver dato origine al nostro problema; oppure il disordine potrebbe essersi insediato in maniera subdola ma costante proprio nel nostro quotidiano. Saremo allora quel genere di persona che, per esempio, va a letto tardi la sera e si sveglia tardi la mattina, oppure quella che mangia ad orari diversi tutti i giorni, improvvisando il pasto.
Esistono poi veri e propri modi di cucinare in modo disordinato e cibi che per la loro composizione caotiva rivelano un disordine di fondo disorientativo per il nostro corpo.
Ecco che la pizza, i piatti della nouvelle cousine che abbinano frequentemente il dolce con il salto, i timballi, tutti questi cibi comunicano all'uomo che li ingerisce confusione mandando i ricettori olfattivi e visivi in tilt a causa dei loro messaggi contrastanti.
Piu' il cibo e la nostra vita si complica, piu' il piatto e di conseguenza la nostra vita, diviene difficile da equilibrare.
Ecco scoperto uno dei primi mattoni che, con il tempo, puo' portare alla costruzione del muro a volte inespugnabile della malattia.
Il disordine ci impedisce di vedere chiaramente. Essere precisi, ordinati significa avere il controllo sul nostro piatto, sulla nostra salute, sulla nostra vita.
Chi e' ordinato dimostra di prendersi cura di se', fisicamente, mentalmente, spiritualmente.
Ordinare le idee sta a significare mettere chiarezza nel nostro agire, significa vedere chiaramente le diverse sfaccettature dei problemi, valutarne i pro e i contro e poter decidere lucidamente per il meglio, di conseguenza significa non ammalarsi.
Iniziamo a mettere ordine partendo da noi stessi, poi passiamo a casa nostra, alla nostra strada, al nostro quartiere, alla nostra citta', al mondo intero.
La nostra salute, la salute della societa', la salute del pianeta dipendono proprio da questo.